RF: [Come
preambolo, mi permetta una puntualizzazione: io mi trovo ad essere, per prima
cosa, cittadino britannico e, in secondo luogo, cittadino francese e voglio che
sia ben chiaro che è esclusivamente nella mia qualità di cittadino britannico,
e dunque come uomo libero, che io risponderò alle Sue domande.]
A condizione di sostituire la parola “conquiste” con quella di “vittorie”,
Lei troverà una risposta a questa Sua prima domanda in un testo che ho
intitolato proprio “The Victories of
Revisionism” (Teheran, 11 dicembre 2006). Vi enumero venti delle nostre
vittorie. Sul piano strettamente scientifico e storico, queste vittorie sono
state così importanti, sia per numero che per ampiezza, che non è rimasta
pietra su pietra dell’edificio di menzogne costruito dalla religione de
“l’Olocausto”. Sul piano mediatico, per converso, il nostro scacco è cocente
poiché – è giocoforza il constatarlo – malgrado la nostra presenza su Internet,
con l’Aaargh-VHO, Radio Islam e parecchi altri siti revisionisti, il grande pubblico
sembra ignorare quasi tutto dei nostri successi, come pure della sconfitta dei
nostri avversari.
Prendiamo il caso dell’ebreo americano Raul Hilberg; egli è il Number One degli storici di quello che
viene diffusamente chiamato “Olocausto” o “Shoah” e a cui, per parte sua,
preferisce dare il nome di “la distruzione degli ebrei d’Europa”. È nel 1961
che egli ha pubblicato la sua prima versione di The Destruction of the European Jews. All’epoca, sosteneva con
sussiego la tesi secondo la quale Adolf Hitler aveva dato due ordini di sterminare gli ebrei d’Europa (p. 177). Questi
ordini, dei quali, curiosamente, egli non indicava né le date né i rispettivi
contenuti, erano stati, secondo lui, seguiti da istruzioni diverse, che
sfociavano, da un lato, nei massacri sistematici di ebrei condotti in Russia
dagli Einsatzgruppen, e, dall’altro,
alla costruzione dei “campi di sterminio” (sic) in Polonia o in Germania, in
particolare ad Auschwitz. Sempre a suo dire, al fine di perpetrare questo
crimine specifico e senza precedenti, i Tedeschi avrebbero inventato ed
utilizzato delle armi anch’esse specifiche e senza precedenti, chiamate sia
“furgoni a gas”, sia “camere a gas” (utilizzando, in particolare, l’insetticida
Zyklon B). Ma, anno dopo anno, sotto la pressione della critica revisionista
che gli chiedeva delle prove e non delle sedicenti testimonianze, R. Hilberg ha
dovuto battere in ritirata. Nel 1983, egli ha finito con il dichiarare che, a
ben riflettere, questo gigantesco massacro non era stato concertato (come
dapprima egli aveva scritto) ma si era prodotto spontaneamente, in seno alla
vasta burocrazia tedesca, “per un incredibile incontro degli spiriti, per una
consensuale trasmissione del pensiero” (“by
an incredible meeting of minds, a consensus-mind reading by a far-flung
bureaucracy”). Nel gennaio del 1985, all’inizio del primo dei due grandi
processi intentati da alcune organizzazioni ebraiche canadesi contro il
revisionista Ernst Zündel, a Toronto, noi gli abbiamo fatto confermare sotto
giuramento questo suo strano discorso. Nel corso dello stesso anno, nella
seconda edizione della sua opera, egli ha, ancora una volta, esposto la
nebulosa teoria secondo la quale la distruzione degli ebrei d’Europa si era
prodotta per un fenomeno di generazione spontanea, e si era sviluppato tramite
trasmissione del pensiero. Egli precisava che l’impresa criminale in questione
si era sviluppata senza un piano, senza un organismo speciale, senza direttive
né autorizzazioni scritte, senza ordini, senza spiegazioni, senza budget, senza perciò lasciare delle tracce per lo
storico. Donde, a ben comprendere,
l’impossibilità per lo storico di produrre delle prove. Egli ha concluso:
“In ultima analisi, la distruzione degli Ebrei non si realizzò solo [sic] in esecuzione delle leggi e degli ordini, ma come
conseguenza di una disposizione dello spirito, di un accordo tacito, di una
consonanza e di un sincronismo” (La
Distruzione degli Ebrei d’Europa, Torino, Einaudi Tascabili, 1995 e 1999,
vol. 1, p. 53 * ; nell’originale: “In the final analysis, the destruction of
the Jews was not as much a product of laws and commands as it was a matter of
spirit, of shared comprehension, of consonance and synchronization”, The Destruction of the
European Jews, New
York, Holmes & Meier, 1985, p. 55). Ora, in tutta la storia del mondo, non si conosce un solo crimine dalle
proporzioni gigantesche che si sia prodotto per opera dello Spirito Santo, e
che, pur non lasciando alcuna traccia della propria concezione, dei suoi
preparativi o della sua organizzazione, abbia, come surplus, prodotto alcuni
milioni di “miracolati” che sono sfuggiti al supposto massacro.
Già nel 1978/1979, nel giornale Le
Monde, avevo dimostrato che l’esistenza delle pretese camere a gas
hitleriane si scontrava con una radicale impossibilità tecnica, ed avevo
sfidato la parte avversa a mostrare come un omicidio di massa, quale è il
preteso genocidio degli ebrei, fosse stato tecnicamente possibile. In una
dichiarazione comune firmata da 34 storici ed autori francesi, fra cui Léon Poliakov,
Pierre Vidal-Naquet, Fernand Braudel e Jacques Le Goff, mi si era risposto:
“Non bisogna chiedersi come tecnicamente
un tale assassinio di massa sia stato possibile; esso è stato tecnicamente
possibile poiché ha avuto luogo” (Le
Monde, 21 febbraio 1979). Ciò è quel che si chiama, nello stesso tempo,
confessare la propria impotenza ed imporre agli altri il rispetto di un tabù.
In fondo, R. Hilberg ha conosciuto, nel 1983-1985, uno smarrimento ed
un’umiliazione simili a quelle che avevano subito in Francia, dal 1979, i suoi
34 colleghi o amici. Se Lei vuole degli altri esempi riguardo alle concessioni
a cui abbiamo costretto i sostenitori della tesi del genocidio degli ebrei e
delle camere a gas naziste, Si rifaccia ai diciotto altri casi che io ho riportato
nel mio testo dell’11 dicembre 2006. Non tralasci, soprattutto, quello di
Jean-Claude Pressac, un personaggio che era stato sostenuto e decantato dalla
coppia Klarsfeld [Serge e la moglie Beate – NdT]. Dopo molteplici pubblicazioni
in favore della tesi ufficiale, J.-C. Pressac ha finito, il 15 giugno 1995, col
firmare, sotto forma di risposta scritta ad un questionario di Valérie Igounet,
una sorta d’atto di capitolazione a tutto tondo in cui egli ha riconosciuto che
la documentazione della tesi dello sterminio era “marcia”, irrimediabilmente
“marcia”, e che era votata agli “immondezzai della storia”. Questo atto di
capitolazione ci è stato nascosto per cinque anni. Il testo non ci è stato
rivelato che nell’anno 2000; esso è stato difatti riprodotto, con un
piccolissimo carattere tipografico, all’estrema fine di un ponderoso libro
precisamente firmato da Valérie Igounet: Histoire
du négationnisme en France (pp. 651-652).
Per quel che riguarda il numero dei morti ad Auschwitz, preteso “campo di
sterminio” (denominazione creata dagli Americani) situato al centro di un
supposto sistema di liquidazione fisica degli ebrei, la verità ufficiale non ha
smesso di subire delle revisioni verso il basso: fino all’inizio del 1990,
questo numero era fissato a 4 000 000 di ebrei e di non ebrei; nel 1995, esso è
precipitato a 1 500 000; poi, è stato successivamente di 1 100 000, di 800 000,
di 700 000 e di 600 000; nel 2002, con Fritjof Meyer, redattore capo dello Spiegel, il numero è sceso a 510 000. Rimangono, agli
storici ufficiali, vale a dire agli autori non perseguiti giudiziariamente per
i loro scritti, ancora da fare dei progressi per raggiungere la cifra reale di
circa 125 000. È in effetti a questa cifra che, probabilmente, è giunto il
numero dei morti, in circa cinque anni, nei 39 campi del complesso di
Auschwitz, devastato, specialmente nel 1942, da delle terribili epidemie di
tifo che hanno ucciso dei detenuti, dei guardiani e perfino alcuni capo medici
preposti alla salute dei detenuti.
2 Potrebbe riassumere per noi, brevemente, le persecuzioni fisiche e giudiziarie che ha dovuto subire per avere espresso in pubblico le Sue tesi storiche?
RF: La mia sorte è stata la seguente: una decina di aggressioni, circa
trent'anni di processi, perquisizioni, una fiumana di condanne giudiziarie,
sequestri alla mia banca, una carriera spezzata, ignobili ritorsioni su mia
moglie e sui miei figli; il tutto per istigazione o con la piena approvazione
delle autorità mediatiche, politiche, universitarie. E questo con le fanfare e
in un’atmosfera da caccia alla volpe, con appelli all’omicidio e con un’ondata
di lordura e fango lanciati da ogni parte sulla mia persona. Il capo
dell’ordine degli avvocati di Parigi, Christian Charrière-Bournazel, ritiene
che gli scritti o i discorsi di Faurisson non siano che fango e lordura e si
auto-descrive come “sacro spazzino”.
Ma, nella disgrazia, ho avuto fortuna. Fino ad ora, il mio revisionismo non
mi è costato un solo giorno di prigione. La mia sorte è invidiabile se la
paragono a quella dei revisionisti che, in Germania, in Austria, in Francia, in
Belgio, in Spagna, in Svizzera, in Svezia o in Canada sono stati gettati in
carcere. Sono trascorsi giusto cinque anni oggi da
che, il 5 febbraio 2003, la polizia americana ha tolto Ernst Zündel a sua
moglie, nella loro casa del Tennessee, per metterlo in prigione e poi per
estradarlo al Canada che, a sua volta, l’ha consegnato alla Germania. I suoi
processi, prima a Toronto e poi a Mannheim, si sono svolti in condizioni
rivoltanti. Il suo internamento a Toronto, durante due anni, e stato degno di
Guantánamo e di Abou Graib. Nessuno può dire se questo giusto, questo eroe,
uscirà un giorno di prigione e potrà ritrovare sua moglie, i suoi figli e i
suoi nipoti.
3 La conferenza revisionista
che si è tenuta a Teheran nel dicembre 2006 ha provocato un’ondata di
indignazione mondiale; ha avuto anche delle ricadute positive?
RF: Mi permetta una rettifica. La conferenza di Teheran non può né deve essere
qualificata come “revisionista”. La verità è che era aperta a tutti, ivi
compresi i revisionisti. Essa ha fatto conoscere al mondo intero l’esistenza
del revisionismo, ma senza riuscire a spezzare la morsa della censura che si è
ovunque ed immediatamente richiusa, facendo in modo che il grande pubblico continuasse
ad ignorare quali sono precisamente i nostri argomenti e le nostre conclusioni.
Un po’ ovunque nel mondo occidentale, si è gridato alla bestemmia. Di ritorno
al loro paese d’origine, alcuni partecipanti alla conferenza si sono trovati
esposti alla repressione, in particolare uno Svedese, un Australiano e due dei
sei coraggiosi rabbini antisionisti che avevano fatto la trasferta: il grande
rabbino d’Austria e un rabbino di Manchester. Per la mia modesta parte, sono
stato fatto oggetto di una inchiesta giudiziaria voluta all’epoca da Jacques
Chirac; sono stato convocato due volte dalla polizia giudiziaria. La seconda
volta, ben recentemente, sono stato posto in stato di fermo, mentre la mia casa
veniva perquisita. Vi invito a venire al processo che si sta così preparando,
ma la cui data non è stata ancora fissata. Riservo ai miei giudici e al
procuratore una dichiarazione di cui si ricorderanno. Oggi stesso, apprendo
appena che in un altro affare (quello di un’intervista concessa a “Sahar”,
stazione della radio-televisione iraniana), la corte di cassazione ha
confermato che dovrò versare 18 000 euro fra ammenda e di diverse indennità.
4 Cosa ne pensa dell’avvenire del revisionismo e, in particolare, dei tentativi di introdurre in Italia una legge antirevisionista come quella francese?
RF: L’avvenire del revisionismo mi sembra compromesso, e quello dei
revisionisti mi appare particolarmente cupo. La sorte che ci attende potrebbe
essere paragonabile a quella dei pagani dopo il trionfo del cristianesimo, nel
quarto secolo della nostra era: la progressiva cancellazione. Temo l’estensione
di una legge antirevisionista su scala europea. Ma, deve saperlo, è possibile
reprimere il revisionismo senza istituire, tuttavia, una legge specifica in
questo senso. Consideri, ad esempio, il comportamento degli Stati Uniti, del
Canada, dell’Australia e della Nuova Zelanda nei diversi casi particolari:
oltre a quello di Ernst Zündel, quelli di Germar Rudolf, di Fredrick Töben e di
Joel Hayward (quest’ultimo, semi-revisionista d’origine ebraica, ha salvato la
pelle e la propria carriera universitaria solo rinnegando sé stesso). In
Francia, ancor prima della specifica legge del 1990 (“legge Fabius-Gayssot”),
non ci si è fatto scrupolo di perseguire penalmente dei revisionisti e condannarli
sul piano giudiziario. “Chi vuole annegare il proprio cane lo accusa d’avere la
rabbia”. Chi vuole attaccare un revisionista l’accuserà indifferentemente di
“danni contro terzi”, per “diffamazione”, per “incitazione all’odio razziale”,
per “apologia di reato”, di “offesa ai diritti dell’uomo”, di “terrorismo” o di
qualsiasi altro crimine o delitto. Personalmente, io sono stato condannato nei
Paesi-Bassi per danni a terzi e per violazione della proprietà letteraria! In
un’opera sull’impostura del “Diario di Anna Frank” ero stato indotto a citare
abbondantemente degli estratti da questo sedicente diario; il tribunale
olandese ha deciso che, così facendo, avevo commesso una sorta di furto a danno
degli aventi diritto di Anna Frank, ed ha anche stabilito che, seminando il
dubbio sull’autenticità della suddetta opera, avevo compiuto un’offesa contro
due fondazioni (rivali nello Shoah-Business!), una situata in Svizzera e
l’altra nei Paesi Bassi, che difendono, entrambe, la memoria di Anna Frank.
Inoltre, il tribunale ha avvalorato la tesi per cui io avevo costretto il Museo
Anna Frank di Amsterdam a spendere dei soldi per preparare il personale a
rispondere alle domande poste dai visitatori che potevano essere rimasti
turbati dai miei argomenti.
Capita che delle brave persone dichiarino: “Io confido nella giustizia del
mio paese”. Personalmente, reso edotto dall’esperienza della storia, io non
vedo come si possa fare affidamento su dei magistrati. La gran parte dei
giudici ha la docilità dei buoni e tranquilli ragazzi nati da buoni e
tranquilli genitori. In materia di processi per revisionismo, se confido nei
magistrati, è piuttosto per la loro propensione a schernire, all'occorrenza, la
più elementare giustizia. In Francia, tre volte ho querelato per diffamazione;
tre volte i giudici hanno riconosciuto che avevo ragione, pur tuttavia hanno
respinto la mia domanda perché, ogni volta, hanno decretato che il mio
diffamatore era “in buona fede”. L’ultimo esempio al proposito è quello del
processo che ho dovuto intentare a Robert Badinter perché questo personaggio
aveva osato dire alla televisione: “Io ho fatto condannare Faurisson per essere
un falsario della storia”. I giudici hanno deciso che R. Badinter aveva
“fallito nel suo tentativo di produrre prove”, vale a dire che si era mostrato
incapace di giustificare le sue asserzioni; essi hanno riconosciuto che questo
vecchio avvocato e ex-ministro (della Giustizia) mi aveva diffamato, ma hanno
aggiunto, senza fornirne la prova, che il mio diffamatore era stato “in buona
fede” e mi hanno condannato a versargli 5 000 euro, somma che, per me, in
questo processo, si è aggiunta a ben altre spese; io ho versato questi 5 000
euro ma, non avendo altro denaro, ho rinunciato a interporre appello. Tutti i
giornali che hanno dato notizia della vicenda hanno spiegato ai loro lettori
che R. Badinter, che aveva detto: “Io ho fatto condannare Faurisson per essere
un falsario della storia”, aveva vinto il processo, e che Faurisson aveva
dovuto inchinarsi di fronte al verdetto; essi hanno nascosto, o occultato, il
fatto che R. Badinter mi aveva diffamato, sia pure “in buona fede”.
5 Lei ha spesso paragonato
le presunte armi di distruzione di massa di Saddam Hussein alle camere a gas
hitleriane: può chiarire questo concetto?
RF: Il 23 giugno 2003 avevo redatto un articolo dedicato all’arresto, a Vienna,
di un revisionista: l’ingegnere chimico e specialista delle camere a gas di
decontaminazione Wolfgang Fröhlich, che, per altro, sconta attualmente una pena
di sei anni e cinque mesi di prigione. In questo articolo, avevo ricordato
l’offensiva condotta dai politici americani Rudy Giuliani e George W. Bush
contro dei “revisionisti” che, già da un bel pezzo, avevano scoperto che le
armi di distruzione di massa attribuite a Saddam Hussein semplicemente non
esistevano affatto. Il 16 giugno 2003, Bush aveva condannato “un mucchio di
storia revisionista attualmente in marcia” (“a lot of revisionist history now going on”). Io avevo colto
l’occasione per tracciare un parallelo fra F. D. Roosevelt e G. W. Bush, da una
parte, e Adolf Hitler e Saddam Hussein dall’altra. Scrivevo:
Nel
gennaio 1944, il presidente Roosevelt, manipolato da Henry Morgenthau Jr, suo
segretario di Stato al tesoro, creò il Consiglio dei Rifugiati di Guerra (War Refugee Board o WRB), che avrebbe fabbricato un rapporto, divenuto poi tristemente
famoso, su: “I campi di sterminio tedeschi – Auschwitz e Birkenau”. Nel
settembre 2001, il presidente Bush, manipolato da Paul Wolfowitz, creò
l’Ufficio dei Piani Speciali (Office of
Special Plans o OSP), che poi si
mise a costruire dei falsi rapporti sulle armi di distruzione di massa
dell’Irak (Weapons of Mass Destruction
ou WMD). Questo ufficio è diretto da
Abram Shulsky. In seno a questo stesso ufficio i quattro responsabili incaricati
dei rapporti su queste armi di distruzione di massa si auto-designano con il
nome di “la cabala” [ebraica]! Seymour Hersh, giornalista americano di fama, ne
ha fatto la rivelazione in un lungo articolo del New Yorker datato al 12
maggio [2003] e, in Francia, Jacques Isnard l’ha riportato su Le Monde del 7 giugno, a pagina 7.
Io allora concludevo:
Medesime
menzogne. Medesimi mentitori. Medesimi beneficiari. Medesime
vittime. Sembra dunque che sia necessario un medesimo lavoro revisionista.
In seguito, Le Monde del 17
giugno aveva pubblicato in prima pagina un articolo intitolato ironicamente:
“Saddam era un malvagio, dunque aveva delle armi proibite”. Il giorno dopo ho
mandato al giornale, affinché la pubblicasse, una lettera il cui contenuto si
limitava ad una frase: “Hitler era malvagio, dunque aveva delle camere e dei
furgoni a gas”, ma, come ci si poteva aspettare, la mia impertinente missiva non
è stata pubblicata.
6 Da alcuni anni a questa
parte, il revisionismo si trova ad essere comunemente chiamato “negazionismo”
in quanto si dice che esso abbia un carattere eminentemente distruttivo. Lei
che cosa ne pensa?
RF: “Negazionismo” è un barbarismo e, a coloro che mi danno del “negazionista”,
io potrei ribadire, forgiando a mia volta un barbarismo, che essi sono degli
“affermazionisti”. Nel Faust di
Goethe, Mefistofele è “lo spirito che sempre nega”. Ora, i revisionisti non
sono affatto diabolici; non negano nulla, e soprattutto non negano l’evidenza.
Al termine delle loro ricerche, essi si limitano ad affermare che quella convinzione, largamente diffusa, non è che
un’illusione. Galileo non negava nulla; egli constatava l’esistenza di un
errore o di una superstizione ed insisteva affinché, in un ambito particolare
della conoscenza, l’astronomia, si rivedesse, correggesse o revisionasse ciò
che fino ad allora era stato creduto esatto e che, a suo avviso, era falso. Il
revisionismo è POSITIVO, talvolta anche positivista. Esso preconizza la
riflessione, la verifica, lo sforzo, il lavoro, la ricerca. E poi si trova ad
essere anche un UMANESIMO : offre agli uomini un mezzo per intendersi al di là
di ogni appartenenza ad un gruppo nazionale, politico, religioso o
professionale. Esso rigetta l’argomentazione basata sul principio d'autorità.
Per i revisionisti, ciò che affermano eruditi, professori, magistrati non è
necessariamente esatto o conforme alla realtà, e deve poter essere sottoposto
ad esame. Il revisionismo ce ne avverte: ciò che l’opinione pubblica ribadisce
indefinitamente, fino alla noia, potrebbe non essere che una leggenda, una credenza infondata. Attenzione alla calunnia! Prima
di ripetere che la Germania ha commesso il crimine più atroce di tutti i tempi,
e di aggiungere che quasi tutto il resto del mondo è stato il complice di
questo crimine sia partecipandovi, sia distogliendo lo sguardo, dobbiamo
esigere delle prove. Con quale diritto si afferma che la patria di Goethe e di
Beethoven si è disonorata al punto da costruire dei mattatoi chimici per
asfissiarvi milioni d’uomini, di donne e di bambini? Con quale diritto tante
istituzioni ebraiche si permettono di accusare confusamente di complicità in
questo crimine il Papa Pio XII, il Comitato internazionale della Croce Rossa,
Roosevelt, Churchill, de Gaulle, Stalin, gli alleati della Germania (ivi compresi
i Giapponesi, il Grand Mufti di Gerusalemme, gli Indù liberi di Chandra Bose) e
i paesi neutrali, a cominciare dalla Svizzera? È davvero possibile che solo gli
ebrei e i loro amici abbiano visto chiaro, mentre il resto del mondo, o poco ci
manca, sarebbe stato accecato dall’odio o dall’ignoranza? Il canadese David
Matas, avvocato provetto e un’autorità in seno al “B’nai B’rith” (una specie di
frammassonneria esclusivamente ebraica, con ambasciatori presso l’ONU ed altre
organizzazioni internazionali), ha dichiarato, il 27 gennaio 2008: “L’Olocausto
è stato un crimine di cui quasi ogni paese del globo è stato complice” (“The Holocaust was a crime in which virtually
every country in the globe was complicit”). Mi sembra che, nel momento in
cui i revisionisti vengono a sostenere, al termine delle loro ricerche, che D.
Matas si inganna o ci inganna, evocando in questo modo il preteso genocidio
degli ebrei, dovremmo almeno prestare attenzione a queste ricerche, invece di
interdirle con “la forza ingiusta della legge”. Chi, in questa vicenda, Le
sembra mantenere un comportamento normale ed UMANO? A parer Suo, è questo D.
Matas e i suoi potenti amici, oppure il germano-canadese Ernst Zündel, il quale
deve proprio a questa gente di essere stato mandato in prigione per così tanti
anni? Per riprendere le Sue parole, io dirò dunque che, a mio sentire, lungi
dall’avere “un carattere eminentemente distruttivo”, il revisionismo è dotato
di un carattere COSTRUTTIVO ed eminentemente UMANO.
All’ateo che io sono, permetta la seguente riflessione: la religione de
“l’Olocausto” non è che un avatar della religione veterotestamentaria. Alla
pari di quest’ultima, essa è inumana. Insegna l’odio, la crudeltà, la sete di
vendetta e la violenza. Essa ci tratta tutti come Palestinesi; si burla
dell’uomo, e cerca di farci ingoiare le storie più balorde che ci siano. E
deve, difatti, far così: come Le ho detto, sul piano della storia e della
scienza o, in una parola, della ragione, gli Hilberg e i Pressac sono stati
ridotti a zero dai revisionisti. Allora, disperando per la causa, e per propria
inclinazione, i sostenitori dell’Olocausto si sono rivolti ai Claude Lanzmann,
agli Elie Wiesel, ai Marek Halter, agli Steven Spielberg, vale a dire a dei
narratori di storie ebraiche, che hanno in orrore la scienza storica. Essi del
resto non lo nascondono affatto. E. Wiesel, che
è il più grande dei nostri falsi testimoni, ha finito con lo scrivere nelle sue
memorie: “È meglio che le camere a gas restino chiuse agli sguardi indiscreti.
E all’immaginazione” (Tous les fleuves
vont à la mer…, Le Seuil, 1994, p. 97). Quanto a Claude Lanzmann, che ha
finito con il confessare d’avere pagato, e caro, i suoi “testimoni” tedeschi
per il film Shoah, egli ha sempre
proclamato il suo odio per gli storici e per i loro documenti, giungendo ad
affermare che, se avesse scoperto un film che mostrava una scena di gassazione
degli ebrei, lo avrebbe distrutto. Questa tipologia di commercianti è a
favore dei racconti, dei romanzi, delle novelle, dei film, del teatro, degli
spettacoli d’ogni genere, e parteggia anche per il kitsch, purché questo serva
ciò che essi chiamano la Memoria. Essi sono a favore de “la Mémoria” tale e
quale la si scrive ad Hollywood, allo Yad Vashem o in quelle Disneyland che
stanno diventando, progressivamente, tutti questi musei degli orrori che
proliferano ad Auschwitz, a Berlino, a Washington o in cento altri punti del
globo. Costoro privilegiano i metodi hollywoodiani e le prassi scenografiche
più disoneste e disdegnano apertamente la storia. Si interessano all’arte di
suscitare delle emozioni. Questa gente segue le ricette dello “story-telling”, vale a dire l’arte di
imbastire una buona storia, dove il lettore o lo spettatore, gustando
simultaneamente il piacere dell’indignazione contro i cattivi nazisti e quello
della commiserazione per i poveri ebrei, potrà abbandonarsi al pianto. La
letteratura olocaustica rigurgita di racconti di orrori e di miracoli degni
dell’Antico Testamento, con le sue storie delle Piaghe d’Egitto, del Mar Rosso,
delle Mura di Gerico o di Giosué che ottiene che il sole si fermi in modo che
gli ebrei possano compiere un massacro. Si tratta lì di una lunga tradizione
ebraica, la cui parola d’ordine è: “Niente
Storia ma delle storie”. In un testo datato al 15 giugno 2006 ed intitolato:
“Mémoire juive contre l’histoire (ou l’aversion juive pour tout examen critique
de la Shoah)” (“Memoria ebraica
contro la storia [o l’avversione ebraica per ogni esame critico della Shoah]”),
raccontavo della disavventura toccata al più prestigioso storico israeliano,
Ben Zion Dinur, nato Dinaburg (1884-1973). Fondatore dell’Istituto Yad Vashem,
egli ha avuto l’audacia di preconizzare la diffidenza dell’ambito scientifico
rispetto alle innumerevoli “testimonianze” dei “sopravissuti” o
“miracolati”; voleva verificarne l’autenticità; così facendo, ha provocato
contro di sé una temibile campagna che l’ha costretto, alla fine, a dimettersi
dalla direzione dello Yad Vashem.
A partire dal 1995-1996, gli storici de “l’Olocausto” hanno definitivamente
ceduto il passo ai servitori della Memoria. Nel 1996, una sorta di Pressac in
sedicesimo, Robert Jan van Pelt, universitario canadese, sarà stato l’ultimo
storico ebreo a tentare di difendere la tesi de “l’Olocausto” sul piano
scientifico. Dopo questa data, gli specialisti dell’argomento hanno
moltiplicato le pubblicazioni in cui ognuno di loro fornisce la propria
particolare interpretazione de “l’Olocausto”, ma senza più tentare di
dimostrare, in via preliminare, che vi sia stato effettivamente un genocidio
degli ebrei e delle camere a gas naziste. Per contro, siamo intossicati con una
letteratura strabiliante, nello stile dei racconti di Misha Defonseca, di
Shlomo Venezia o di quel consacrato burlone di Padre Patrick Desbois: una
bambinella ebrea, adottata dai lupi, attraversa con loro l’intera Europa alla
ricerca dei suoi genitori deportati ad Auschwitz; i camini dei crematori
lanciano, giorno dopo giorno, notte dopo notte, delle fiamme verso il cielo
(mentre un solo fuoco di ciminiera avrebbe interrotto per lungo tempo ogni
attività di cremazione); quando i Tedeschi decidono di giustiziare dei grandi
gruppi d’ebrei, mobilitano dei bambini ai quali ordinano di battere su delle
casseruole per coprire il rumore delle fucilate e le grida delle vittime; “Noi eravamo
trenta fanciulle ucraine che dovevano, a piedi nudi, pigiare i corpi degli
Ebrei e gettarvi sopra una fine coltre di sabbia, in modo che gli altri Ebrei
potessero adagiarvisi” (Padre Patrick Desbois, Porteur de mémoires / Sur les traces de la Shoah par balles,
Michel Lafon, 2007, pp. 115-116); “Poi, un altro giorno, in un altro villaggio,
qualcuno che, bambino, era stato requisito per scavare una fossa ci racconta
che una mano uscita dal suolo si è appiccicata alla sua pelle” (pp. 92-93);
“[Samuel Arabski] ci ha spiegato, con lo sguardo colmo di terrore, che la mano
di un Ebreo uscita dalla fossa è venuta ad afferrare la sua pelle” (p. 102).
Non si finirebbe mai di enumerare queste fantasmagorie che sono disonorevoli
per chi le inventa, le stampa o ne fa dei film, e che degradano, allo stesso
tempo, coloro che sono indotti a leggerne il racconto, o a vederne la
rappresentazione.
Da parte mia, prendendo atto del fatto che, in questi ultimi dieci anni, la
storiografia de “l’Olocausto” si è ridotta essenzialmente a queste
sotto-produzioni, ho l’impressione che il mio ruolo sia sul finire. Ho 79 anni.
Non consacrerò quel poco di vita che mi resta a dimostrare l’assurdità, sempre
più grossolana, del commercio o dell’industria de “l’Olocausto”. I revisionisti
l’hanno già ampiamente provata: La
storia del preteso sterminio degli Ebrei e delle pretese camere a gas naziste è
un’impostura che ha aperto la strada ad una gigantesca truffa politico
finanziaria, di cui i beneficiari principali sono lo Stato di Israele e il
sionismo internazionale, e le cui vittime principali sono il popolo tedesco –
ma non i suoi governanti – e l’intero popolo palestinese. Sono giunto a
questa conclusione nel 1980. Al giorno d’oggi, 5 febbraio 2008, non devo
cambiarla di un iota.
Per riassumere in una frase il bilancio personale degli ultimi trent’anni
da me già consacrati al revisionismo storico, dirò che io ho semplicemente voluto, con dei mezzi risibili, servire una causa
ingrata: quella della scienza storica. Non ho nient’altro da dire a mia
difesa.
Le sono grato di avermi accordato la parola. Il
primo giornalista che abbia voluto darmela per davvero è stato uno dei Suoi connazionali. Si chiamava Antonio Pitamitz. Era nel 1979, sul mensile Storia Illustrata, poi scomparso. Oggi, un professore universitario
si batte aspramente perché mi sia accordato il diritto di esporre le mie vedute
– delle vedute che egli forse per parte sua non condivide – e si tratta ancora
di un Italiano. Lei lo conosce: si chiama Claudio Moffa.
5 febbraio 2008
* Questa traduzione della frase di Hilberg, con “non ... solo in esecuzione
delle leggi...” per rendere “not as much a
product of laws...”, è errata;
una versione più esatta e fedele è: “In ultima analisi, la distruzione degli
Ebrei era non tanto il prodotto di un'esecuzione delle leggi e degli ordini
quanto un affare di disposizione dello spirito, di una comprensione
condivisa, di una consonanza e di un sincronismo” (NdT).