Rudolf
Höss
fu il primo dei tre comandanti alternatisi al comando del campo di
concentramento di Auschwitz. Viene chiamato spesso “il comandante di Auschwitz” ed il grande pubblico conosce di lui
degli scritti che sono stati pubblicati in italiano sotto il titolo Comandante ad Auschwitz: memoriale autobiografico (in tedesco: Kommandant in Auschwitz: Autobiographische Aufzeichnungen des Rudolf Höss). Egli è comparso
dinanzi al TMI (Tribunale Militare Internazionale) in qualità di testimone, il
15 aprile 1946. La sua deposizione fece sensazione. Sbalordendo gli accusati e
alla presenza della stampa del mondo intero, egli confessò i crimini più
efferati che la Storia abbia mai conosciuto. Disse di avere ricevuto
personalmente l’ordine di Himmler di sterminare gli ebrei. Egli stimava che ad
Auschwitz fossero state sterminate tre milioni di persone di cui due milioni e
mezzo tramite camere a gas omicide. Queste confessioni erano false. Gli erano
state estorte con la tortura. Si è dovuto attendere il 1983 per conoscere
l’identità dei torturatori, e la natura delle torture inflittegli.
Il nucleo
stesso delle confessioni di Rudolf Höss è costituito da quattro documenti che,
in ordine cronologico, sono i seguenti:
1) Una deposizione
scritta firmata il 14 marzo (o il 15 marzo?) del 1946 alle ore 2.30 del
mattino: si tratta di un testo dattiloscritto di 8 pagine, redatto in tedesco; io non credo che in tempi normali una sola
corte giudiziaria di un qualsiasi paese democratico accetterebbe di prendere in
considerazione queste pagine, prive d’ogni intestazione, di qualsiasi referenza
amministrativa stampata e formicolanti di correzioni diverse, sia
dattiloscritte che manoscritte, senza l’accompagnamento della minima nota, e
senza alcun pro-memoria finale relativo al numero di parole corrette o
soppresse. Höss ha firmato una prima volta dopo avere scritto: “14.3.46 –
2.30”. Poi ha rifirmato dopo due righe che avrebbero dovuto essere manoscritte,
ma che invece sono dattilografate, e che dicono:
Ho
letto il testo surriportato; io confermo che esso corrisponde alle mie proprie
dichiarazioni e che è la pura verità.
Seguono i
nomi e le firme dei due testimoni: due sergenti britannici. Uno non menziona la
data mentre l’altro indica quella del 15 marzo. Viene infine la firma di un
capitano della 92° sezione di Sicurezza militare in campagna, che certifica che
i due sergenti sono stati presenti per tutta la durata della procedura in cui
il prigioniero Rudolf Höss ha reso volontariamente la sua deposizione. La data
à quella del 14 marzo 1946. Nulla indica il luogo!
Il numero di
classificazione attribuito dagli Alleati a questo documento è NO-1210.
2) Una dichiarazione
fatta sotto giuramento (in inglese: affidavit)
firmata il 5 aprile 1946, vale a dire 22 giorni più tardi. Si tratta d’un testo
dattiloscritto di 2 pagine e mezza, redatte in inglese. Quest’ultimo punto è
sorprendente. Höss ha dunque qui firmato una dichiarazione giurata, non nella
sua lingua, ma in quella dei suoi carcerieri. La sua firma appare a tre
riprese: dapprima in calce alle due prime pagine, poi, nella terza ed ultima
pagina, dopo un testo di quattro righe, sempre in inglese, sempre
dattiloscritte, e che dicono:
Io
capisco l’inglese, lingua in cui è redatto il testo sopra scritto. Ho deposto
secondo il vero; ho rilasciato questa dichiarazione volontariamente e senza
costrizioni; dopo avere riletto la mia deposizione, l’ho firmata e certificata,
a Norimberga, Germania, il 5° giorno d’aprile.
Segue la
firma del tenente colonnello Smith W. Broockhart dopo la formula:
Dopo
aver prestato giuramento e firmato in mia presenza, il 5° giorno dell’aprile
1946, a Norimberga, Germania.
Per quanto
attiene alla forma, questo testo è, se possibile, ancor meno accettabile del
precedente. In particolare, delle intere righe sono state aggiunte in lettere
maiuscole manoscritte, alla maniera inglese mentre altre sono state biffate da
un tratto di penna. Non vi è alcuna sigla in margine a queste correzioni, né
nessun pro-memoria, alla fine del documento, sul numero delle parole annullate.
Il numero di
classificazione che gli Alleati hanno dato a questo documento è PS-3868.
Per
dissimulare il fatto che Höss aveva firmato una deposizione giurata che era
scritta in inglese mentre avrebbe dovuto essere nella sua lingua, vale a dire
in tedesco, e per far sparire le cancellature, le aggiunte e le correzioni,
ecco la soperchieria che è stata utilizzata a Norimberga: il testo originale è
stato ribattuto a macchina in bella copia, presentandolo come una translation, sottinteso dal tedesco
all’inglese! Ma il truffatore andava troppo di fretta. Ha creduto che
un’aggiunta manoscritta al paragrafo 10 (dovuta ad una mano inglese) fosse
un’aggiunta alla fine del paragrafo 9. Il risultato di questo fraintendimento è
che la fine del paragrafo 9 è stata resa totalmente incomprensibile.
Esistono
perciò due documenti differenti posti sotto lo stesso numero PS-3868: il
documento firmato da Höss e il remake.
È il remake, altrimenti detto il
falso grossolano, ad essere stato usato davanti al Tribunale di Norimberga.
Un’opera storica che pretende di riprodurre il documento PS-3868 di Höss,
riprodurrà, infatti, il remake, ma
sopprimendo senza dirlo la fine del paragrafo 9, come pure l’intero paragrafo
10 [1].
3) La deposizione
orale, così spettacolare, che ho già menzionato, e che venne fatta davanti al Tribunale Militare Internazionale il 15
aprile 1946, ovvero dieci giorni dopo la redazione del documento PS-3868.
Paradossalmente, fu un avvocato della difesa a richiedere la comparizione di
Höss: Kurt Kauffmann, difensore di Ernst Kaltenbrunner, con l’evidente
intenzione di dimostrare che il responsabile del presunto sterminio era Himmler
e non Kaltenbrunner. Quando venne il turno del rappresentante del pubblico
ministero (in quella circostanza, il procuratore aggiunto americano, colonnello
Harlan Amen) di interrogare Höss, egli finse di dare letture della deposizione
firmata da quest’ultimo e, in realtà, leggeva degli estratti dal remake. Harlan Amen usò un pretesto per
non leggere il paragrafo 9 (e, allo stesso tempo, il paragrafo 8).
Interrompendosi dopo la lettura d’ogni frammento, egli chiedeva ad Höss se
questo era quanto aveva dichiarato. Ricevette in tutto e per tutto le seguenti
risposte:
Jawohl.
Jawohl. Jawohl. Ja, es stimmt. [Una risposta di due righe (contenente una
enormità, vale a dire che gli ebrei ungheresi sarebbero stati uccisi ad
Auschwitz a partire dal 1943, mentre il primo convoglio di questi ebrei non vi
era giunto che il 2 maggio del 1944).] Jawohl. Jawohl. Jawohl. [Una risposta di
una riga.] Jawohl. Jawohl [2].
Normalmente
vi sarebbero state cento domande da porre su questo sterminio e su queste
camere a gas, vale a dire su un crimine e sullo strumento di un crimine, senza
precedenti nella Storia, ma nessuno fece quelle domande. In particolare, il
colonnello Amen non sollecitò nessuna precisazione e nessun complemento di
dettaglio, al testo veramente raccapricciante di cui quel giorno dava lettura
alla presenza dei giornalisti, che il giorno dopo, avrebbero fatto i titoli
cubitali dei loro giornali.
4) I testi
raggruppati in genere sotto il titolo Comandante
ad Auschwitz.
Höss avrebbe
scritto questi testi a matita sotto la sorveglianza dei suoi carcerieri
comunisti polacchi, nel suo carcere di Cracovia,
mentre era in attesa del suo processo. Fu condannato a morte il 2 aprile 1947
ed impiccato 14 giorni dopo nel campo di concentramento di Auschwitz. Si è
dovuto attendere il 1958, vale a dire 11 anni, per veder pubblicare in tedesco
ciò che si può chiamare le sue memorie. La pubblicazione venne fatta dallo
storico tedesco Martin Broszat senza alcun rispetto per i metodi di routine
nelle pubblicazioni scientifiche. Broszat è giunto a sopprimere dei frammenti
che avrebbero fatto troppo chiaramente apparire che Höss o i suoi padroni
polacchi avevano proferito delle enormità, il che era dannoso per la veridicità
dell’insieme dei suoi racconti.
I quattro
documenti che ho appena enumerato stanno in uno stretto rapporto di filiazione.
Osservandoli da vicino, non mancano le contraddizioni nei loro rispettivi
contenuti, ma, per l’essenziale, essi si confermano. Le otto pagine del NO-1210
sono in un certo senso riassunte nelle 2 pagine e quarto del PS-3868;
quest’ultimo ha servito come documento centrale nella deposizione orale davanti
al Tribunale Militare Internazionale; infine, le memorie scritte a Cracovia
coronano il tutto. La base e la matrice sono dunque il documento NO-1210. Ne
riparlerò.
Rivelazioni di Höss in Polonia, sulla sua
prima confessione
(doc. NO-1210 del 14 o 15 marzo 1946)
In Germania
la guerra finì l’8 maggio del 1945. Höss cadde nelle mani dei Britannici, che
lo imprigionarono in un campo per SS. Nella sua qualità di agronomo
professionista, egli ottenne una liberazione anticipata. I suoi guardiani
ignoravano in quel momento l’importanza della loro preda. Un ufficio del lavoro
lo collocò come operaio agricolo in una fattoria vicina a Flensburg, non
lontano dalla frontiera con la Danimarca. Vi restò otto mesi. La polizia
militare lxo ricercava. La sua famiglia, con cui la quale era riuscito a
mantenere il contatto, era strettamente sorvegliata e sottoposta a frequenti
perquisizioni. Nelle sue memorie Höss racconta le circostanze del suo arresto e
ciò che ne seguì. Il trattamento che egli subì fu particolarmente brutale. A
prima vista ci si meraviglia che i Polacchi abbiano permesso ad Höss di fare
queste rivelazioni sulla polizia militare britannica. Ma riflettendo, si scopre
che essi hanno potuto essere guidati da più d’uno dei seguenti motivi:
- il desiderio di dare a questa confessione
un’apparenza di sincerità e veracità;
- l’intenzione di provocare, nel lettore, una
comparazione, vantaggiosa per i comunisti polacchi, tra i loro metodi e quelli
britannici; Höss dirà, in effetti, più tardi che, nella prima parte della sua
detenzione a Cracovia, i suoi carcerieri mancò
poco lo “finissero” fisicamente e soprattutto moralmente ma che, in seguito, lo
trattarono “con tanta comprensione e una tale umanità” che egli acconsentì a
scrivere le proprie memorie;
- la necessità di fornire una spiegazione a certe
assurdità contenute nel testo (NO-1210) che i poliziotti britannici avevano
fatto firmare ad Höss, una delle quali consisteva nell’avere inventato
l’esistenza di un “campo di sterminio” in un luogo che non è mai esistito su
alcuna carta geografica della Polonia: “Wolzek presso Lublin”; la confusione
con Belzec non è ravvisabile poiché Höss parla anche di ben tre campi: “Belzek
(sic)”, “Tublinka (sic)” e “Wolzek presso Lublino”. Più oltre, Treblinka verrà
scritta con la corretta grafia. Notiamo, di passaggio, che i campi di Belzec e
Treblinka non esistevano ancora all’epoca (giugno 1941) in cui Himmler, secondo
Höss, gli avrebbe detto che essi già funzionavano come “campi di sterminio”.
Ecco in
quali termini Höss racconta in seguito il suo arresto da parte dei Britannici,
la sua firma del documento che diverrà il NO-1210, il suo trasferimento a
Minden am Weser dove il trattamento che egli subì fu ancora peggiore, il suo
soggiorno nella prigione del tribunale di Norimberga e, infine, la sua
estradizione in Polonia.
L’11 marzo del 1946, alle ore 23, vennero ad
arrestarmi.
Due giorni prima di questa data, la mia fiala
di veleno s’era rotta.
Svegliato di soprassalto, pensai d’essere stato
attaccato dagli scassinatori, che erano allora molto numerosi nella regione;
non fecero dunque nessuna fatica ad arrestarmi. Il trattamento che io subì da
parte della Field Security Police non fu affatto particolarmente clemente.
Mi portarono a Heide e mi ritrovai per caso
nella stessa caserma da cui gli Inglesi m’avevano liberato otto mesi prima.
Il mio primo interrogatorio fu “toccante” nel
senso esatto del termine. Ho firmato il
processo verbale, ma ignoro cosa esso contenesse: l’alternanza dell’alcool e
del frustino era troppo intensa, anche per me. Il frustino era di mia
personale proprietà: esso si trovava per caso nei bagagli di mia moglie. Non
credo di aver colpito con esso il mio cavallo, e di certo non i detenuti. Ma
l’uomo che mi interrogava pensava probabilmente che me ne servissi per colpire
i prigionieri per giornate intere.
In capo ad alcuni giorni, fui condotto a Minden
am Weser, centro degli interrogatori della zona inglese. Là ho subito un
trattamento ancora più brutale da parte del procuratore militare, un comandante
inglese. Il regime del carcere in cui mi vidi rinchiuso corrispondeva al
suo atteggiamento.
Alla fine di tre settimane, fui bruscamente
condotto dal barbiere che mi rasò la barba e mi tagliò i capelli; mi si autorizzava anche a lavarmi. Dal mio
arresto era la prima volta che mi levavano le manette.
Il giorno seguente, fui portato in una vettura
speciale a Norimberga, in compagnia d’un prigioniero di guerra che era stato
portato da Londra come testimone a discarico per Fritzsche [3].
Dopo le mie esperienze precedenti, il mio soggiorno nella casa di pena mi fece
l’effetto d’una cura in sanatorio. Mi trovavo nello stesso padiglione dei
principali accusati e li potevo vedere costantemente quando li conducevano in
tribunale. Dei rappresentanti di tutti i paesi alleati venivano quasi tutti i
giorni a fare un giro nella nostra prigione: ogni volta mi si mostrava come una
“bestia feroce” particolarmente curiosa.
Mi si era fatto venire a Norimberga come
testimone a discarico di Kaltenbrunner, su richiesta del suo difensore. Fino ad
oggi, non sono mai riuscito a capire perché fra tutti gli altri, abbiano scelto
proprio me per questo ruolo.
Le condizioni del mio soggiorno erano
eccellenti sotto tutti gli aspetti: disponevamo di una grande biblioteca e
potevo impiegare nella lettura tutto il mio tempo. Ma gli interrogatori erano davvero molto penosi: non mi s’infliggevano
sevizie, ma la pressione morale era assai dura da sopportare. Non posso
volerne ai miei giudici: essi erano tutti ebrei.
Sono questi ebrei desiderosi di sapere tutto
che mi hanno disseccato psicologicamente. Essi non lasciavano sussistere alcun
dubbio sulla sorte che ci attendeva.
Il 25 maggio, anniversario del mio matrimonio,
fui condotto con Bihler [sic per Bühler] e von Burgsdorf all’aerodromo dove mi
si riconsegnò a degli ufficiali polacchi. Un aereo US ci trasportò, via
Berlino, a Varsavia [4].
Rivelazioni, nel 1983,
sui torturatori britannici di R. Höss
I
revisionisti hanno dimostrato, da parecchio tempo, che le diverse confessioni
di Rudolf Höss presentano errori così grossolani, delle insensatezze e delle
impossibilità d’ogni natura, tali che non è più possibile accordare loro il
credito che i giudici di Norimberga e quelli di Cracovia, come pure degli
storici d’accatto, avevano loro concesso, senza una preventiva analisi del loro
contenuto e delle circostanze in cui queste confessioni erano state ottenute.
Secondo ogni
verosimiglianza, Höss era stato torturato da dei britannici della 92a Field
Security Section. Ma occorreva una conferma a questa ipotesi. La conferma venne
con la pubblicazione di un libro inglese che conteneva il nome del principale
torturatore (un sergente britannico d’origine ebraica), e che descriveva le
circostanze dell’arresto di R. Höss ed anche quelle del suo interrogatorio di
terzo grado.
Il libro è
di Rupert Butler. È stato pubblicato nel 1983 (Hamlyn Paperbacks). R. Butler è
l’autore di altre tre opere: The Black
Angels, Hand of Steel e Gestapo, pubblicati presso lo stesso
editore. Il libro che ci interessa è intitolato Legions of Death. La sua ispirazione è antinazista. Butler dice
che, per questo libro, ha compiuto delle ricerche presso l’Imperial War Museum
di Londra, l’Institute for Contemporary History (Wiener Library) ed altre
istituzioni altrettanto prestigiose. All’inizio del suo libro, egli esprime la
sua gratitudine a queste istituzioni e, inoltre, a due persone, una delle quali
è un “ebreo” di nome Bernard Clarke “che catturò Rudolf Höss, il comandante di
Auschwitz” e di cui egli cita alcuni frammenti degli scritti od anche delle
dichiarazioni registrate.
Bernard
Clarke non prova alcun rimorso ma, al contrario, prova una certa orgogliosa
fierezza d’avere torturato un “nazista”. Rupert Butler, nemmeno lui, vede in
ciò alcun male. Né l’uno né l’altro misurano l’importanza delle loro
rivelazioni. Nessuno di loro capisce l’importanza delle proprie rivelazioni.
Essi dicono che Höss è stato arrestato l’11 marzo del 1946 e che ci sono voluti
tre giorni di torture per ottenere “una dichiarazione coerente”. Essi non si
rendono affatto conto che questa pretesa “dichiarazione coerente” non è altro
che la confessione, davvero folle, che è stata firmata dalla loro vittima
ansimante, il 14 o il 15 marzo del 1946 alle ore 2 e 30 del mattino e che
andava a sigillare definitivamente la sorte di Höss ed a segnare per sempre la
storia del mito di Auschwitz, preteso luogo alto dello sterminio degli ebrei,
in particolare grazie all’impiego delle altrettanto pretese camere a gas
omicide.
L’11 marzo
1946, B. Clarke e cinque altri specialisti dell’informazione, in uniforme
britannica, per la maggior parte d’alta statura e aspetto minaccioso, penetrarono
nel domicilio della Signora Höss e dei suoi bambini. I sei uomini, ci viene detto, sono tutti “esperti nelle più
sofisticate tecniche di inquisizione in interrogatori sostenuti e spietati”.
Clarke si mise ad urlare:
Se non
ci dite dov’è [vostro marito], vi consegneremo ai Russi che vi sbatteranno
davanti ad un plotone di esecuzione, e vostro figlio andrà in Siberia [5].
La S.ra Höss
cedette e rivelò, dice Clarke, l’ubicazione della fattoria dove suo marito era
nascosto. Essa rivelò anche il suo falso nome: Franz Lang. E Clarke aggiunge:
Una
appropriata intimidazione esercitata sul figlio e sulla figlia produssero delle
informazioni identiche.
Il sergente
ebreo e i cinque altri specialisti nell’interrogatori di terzo grado partirono
allora alla ricerca di R. Höss, che sorpresero in piena notte, nascosto in un
angolo della stanza che serviva da macello alla fattoria.
Höss
lanciò un grido alla semplice vista delle uniformi britanniche. Clarke urlò:
“Il tuo nome?”
Ogni volta che la risposta era “Franz Lang”,
Clarke colpiva con un pugno la faccia del prigioniero. Al quarto colpo Höss
crollò e disse chi era.
Immediatamente, questa confessione scatenò il
disgusto dei sergenti ebrei venuti ad arrestarlo, i cui parenti erano morti ad
Auschwitz in virtù d’un ordine firmato da Höss. Il prigioniero fu tirato giù
dalla sua cuccetta e il pigiama gli venne strappato di dosso. Poi venne
trascinato nudo verso una dei banchi da macello e là Clarke credette che colpi
e grida non avrebbero avuto fine.
In fin dei conti, l’ufficiale sanitario
intervenne con insistenza presso il capitano: “Dite loro di fermarsi, o
riporterete indietro un cadavere.” Una coperta fu gettata su Höss, che fu
trascinato verso la vettura di Clarke, dove quest’ultimo gli versò nella gola una
buona quantità di whisky. Allora Höss tentava d’addormentarsi, ma Clarke gli
ficcò il proprio bastone di comando sotto le palpebre e gli ordinò in tedesco:
“Tieni aperti i tuoi occhi di maiale, specie di porco!”
Poi, per la prima volta, Höss presenta una
giustificazione che dovrà poi ripetere spesso: “Io ricevevo i miei ordini da
Himmler. Io sono un soldato come voi. Bisognava obbedire agli ordini.”
Il gruppo fu di ritorno a Heide attorno alle
tre del mattino. La neve stava ancora turbinando, ma ad Höss venne strappata di
dosso la coperta, ed egli dovette attraversare completamente nudo il cortile
della prigione, fino alla sua cella.
È così che
Bernard Clarke rivela:
Ci sono
voluti tre giorni per ottenere [da Höss] una dichiarazione coerente.
È questa
dichiarazione, ottenuta nelle condizioni già viste da alcuni bruti della
Sicurezza militare britannica e sotto l’ispirazione del cervello malato del
sergente interprete Bernard Clarke, che diverrà la prima confessione di Höss,
la confessione primordiale repertoriata con il numero NO-1210. Una volta che il
prigioniero torturato incominciò a parlare, Clarke dice che gli fu impossibile
di fermarlo. E Clarke, non più consapevole nel 1982 o 1983 che in quei giorni
del 1946 dell’enormità di ciò che egli ha forzato Höss a confessare, riporta
allora una serie di orrori fittizi presentati qui come reali: Höss si mise in
effetti a raccontare come, avendo dato fuoco ai mucchi di cadaveri, si
raccoglieva (sic) il grasso che ne colava per riversarlo sui cadaveri (!). Egli
valutava a due milioni il numero dei morti del solo lasso di tempo in cui egli
era stato ad Auschwitz (!); le uccisioni raggiungendo perfino il numero di
dieci mila vittime al giorno (!).
Clarke era
incaricato della censura delle lettere indirizzate da Höss alla moglie e ai
suoi bambini. Tutte le polizie del mondo sanno che questa autorizzazione di
scrivere alla famiglia costituisce un’arma psicologica. Per far cantare il
prigioniero talvolta è sufficiente sospendere o sopprimere questa autorizzazione.
Clarke fa un’interessante osservazione sul contenuto delle lettere di Höss; ci
confida:
Talvolta
il boccone era duro da ingoiare. C’erano due uomini in quest’uomo. Uno era
brutale e privo di riguardi per la vita umana. L’altro era tenero ed affettuoso [6].
Rupert
Butler termina il suo racconto dicendo che Höss non cercò più di negare o di
sfuggire alle sue responsabilità. Sta di fatto che al processo di Norimberga
Höss si comportò con un’“apatia schizoide”. L’espressione è dell’ebreo americano
G. M. Gilbert, lo psicologo della prigione incaricato della sorveglianza
psicologica dei prigionieri, in relazione con il pubblico ministero americano.
Si è ben disposti a credere che R. Höss fosse “scisso in due”! Aveva l’aria di
uno straccio perchè lo si era reso uno straccio. “Apatico”, dice Gilbert alla
pagina 229 del suo libro (Nuremberg Diary,
1947); “apatico”, ripete alla pagina seguente; “apatia schizoide”, scrive a
pag. 239.
Al termine
del suo stesso processo, a Cracovia, Höss accolse la sentenza di morte con
apparente indifferenza. Rupert Butler osserva a questo proposito:
[Höss]
s’era fatta l’opinione che gli Alleati avevano ricevuto degli ordini e che non
si poneva assolutamente in questione che questi ordini non venissero eseguiti [7].
Non si
saprebbe dire meglio. R. Höss, al pari di migliaia di accusati tedeschi
consegnati alla mercé di vincitori totalmente convinti del proprio buon
diritto, aveva velocemente compreso che non vi era altra scelta che di
sottostare alla volontà di questi giustizieri dell’Ovest o dell’Est.
Butler evoca
in seguito rapidamente il caso di Hans Frank, anziano governatore di Polonia.
Con lo stesso tono di soddisfazione morale, egli racconta le circostanze della
cattura di costui ed il trattamento da lui subito.
La
celebrità del personaggio non fu d’alcun effetto sui due GI di colore che
l’arrestarono e fecero il necessario perché fosse trasferito alla prigione
municipale di Miesbach solo dopo essere stato picchiato selvaggiamente e poi gettato
in un camion. Gli avevano gettato addosso una tela catramata, per nascondere le
tracce più evidenti del trattamento che aveva subìto; Frank approfittò di
questa copertura per recidersi l’arteria del braccio sinistro. Non si poneva
certo la questione di lasciare che se la cavasse tanto facilmente: un ufficiale
sanitario dell’esercito americano gli salvò la vita e Frank poté comparire
dinnanzi al Tribunale Militare Internazionale di Norimberga [8].
Hans Frank,
come si sa, venne impiccato.
Rudolf Höss
e Hans Frank non furono affatto i soli a subire dei trattamenti del genere. Tra
i casi più celebri si conoscono quelli di Julius Streicher, di Hans Fritzsche,
di Franz Ziereis, di Josef Kramer, di Oswald Pohl...
Ma il caso
di Höss è, di gran lunga, il più grave per le sue conseguenze. Nessun documento
prova, da parte dei Tedeschi, una politica di sterminio degli ebrei. Leon Poliakov ne convenne fin dal 1951:
Per
quel che concerne la concezione propriamente detta d’un piano di sterminio
totale, i tre o quattro attori principali si sono suicidati nel maggio del
1945. Non è rimasto nessun documento, e può darsi che non sia mai esistito [9].
In assenza
di qualsiasi documento, gli storici alla Poliakov si sono rivolti
principalmente su delle confessioni dubbie come quelle di Kurt Gerstein o di
Rudolf Höss, non senza modificarne i testi secondo quanto loro conveniva.
Bernard
Clarke è “oggi un prospero uomo d’affari stabilitosi nel sud dell’Inghilterra”.
Si può ben dire che è la sua voce, e il suo spirito malato, che si sono fatti
sentire a Norimberga, il 15 aprile del 1946, quando il procuratore Amen diede
lettura, frammento per frammento, ad un uditorio stupefatto e costernato, della
pretesa confessione di R. Höss. Quel giorno prendeva davvero il volo una
menzogna di dimensioni planetarie: la menzogna di Auschwitz. All’origine di
questo prodigioso affare mediatico: alcuni sergenti ebrei della Sicurezza
Militare Britannica, fra cui Bernard Clarke, “oggi un prospero uomo d’affari
stabilitosi nel sud dell’Inghilterra [10]”.
La Testimonianza di Moritz von
Schirmeister
Moritz von
Schirmeister era stato, durante la guerra, il consigliere ed addetto stampa
personale di Joseph Goebbels. Il 29 giugno del 1946 venne interrogato dinanzi
al Tribunale Militare Internazionale in qualità di testimone a discarico di
Hans Fritzsche. La sua deposizione fu particolarmente interessante per quel che
concerneva la vera personalità del Dr Goebbels e l’atteggiamento dei servizi
ufficiali tedeschi di fronte all’ondata di racconti d’atrocità riversata dagli
Alleati sul conto dei campi di concentramento. Alla fine della guerra, Moritz
von Schirmeister era stato arrestato dai Britannici ed internato in Inghilterra
in un campo in cui era stato incaricato della “rieducazione” politica dei suoi
camerati prigionieri. Per venire a testimoniare a Norimberga, fu dapprima
trasferito in aereo da Londra in Germania. Venne posto sotto custodia a Minden
am Weser, che era il centro principale degli interrogatori della Polizia
militare britannica. Di là fu condotto in vettura (31 marzo - 1° aprile 1946)
alla prigione di Norimberga. Nella stessa vettura si trovava R. Höss. Moritz
von Schirmeister è precisamente quel “prigioniero di guerra che era stato
portato da Londra come testimone a discarico di Fritzsche”, di cui parla Höss nelle
sue “memorie” (vedi sopra). Grazie ad un documento che debbo alla compiacenza dell’Americano Mark Weber, che me ne ha rimesso copia
nel settembre 1983 a Washington, documento di cui non sono ancora autorizzato a
rivelare la fonte esatta, noi sappiamo che i due Tedeschi poterono conversare
liberamente nella vettura che li portava a Norimberga. In questo documento, di
un po’ più di due pagine, Moritz von Schirmeister riporta che a proposito delle
accuse che pesavano su di lui R. Höss gli confidò:
Gewiss,
ich habe unterschrieben, daß ich 2 ½ Millionen Juden umgebracht habe. Aber ich
hatte genausogut unterschrieben, daß es 5 Millionen Juden gewesen sind. Es gibt
eben Methoden, mit denen man jedes Gestandnis erreichen kann – ob es nun wahr
ist oder nicht [11].
Un’altra confessione firmata da R. Höss
I
torturatori britannici di R. Höss non avevano alcuna ragione di scomodarsi.
Dopo avergli fatto firmare il documento NO-1210 alle 2 e 30 del mattino del 14
o del 15 marzo 1946, ottennero da lui una nuova firma il 16 marzo, questa volta
in calce ad un testo in inglese, redatto dalla mano d’un Inglese, con uno
spazio bianco là dove
avrebbe dovuto figurare il nome del luogo. Ci voleva tutto il cinismo,
l’incoscienza e la scaltrezza ingenua dei suoi carcerieri per fargli firmare un
semplice biglietto in cui si leggeva in inglese:
Dichiarazione
resa volontariamente alla prigione di [passaggio in bianco] da Rudolf Höss, già
comandante del campo di concentramento di Auschwitz il 16° giorno di marzo
1946.
“Io ho
personalmente organizzato su ordini ricevuti da Himmler nel maggio 1941 la
gasazione di due milioni di persone tra giugno-luglio 1941 e la fine del 1943,
tempo durante il quale sono stato comandante di Auschwitz.”
Firmato:
Rudolf Höss,
SS-Stubhr.
Anziano Kdt. di Auschwitz-Birkenau
Anche la
parola signed (“firmato”) è stata
scritta da una mano inglese.
Conclusione
La
“testimonianza” di Rudolf Höss è stata d’una importanza primordiale per gli
storici che stanno difendendo la tesi dello sterminio degli ebrei e
dell’esistenza, ad Auschwitz, di camere a gas omicide. Con la pubblicazione di Legions of Death da parte di Rupert
Butler, questa “testimonianza” si inabissa definitivamente. Come dicevano gli storici revisionisti,
Rudolf Höss ha reso questa testimonianza sotto tortura. L’ironia vuole che
questa conferma della tesi revisionista sia stata apportata involontariamente
da uno storico sterminazionista. Quest’ultimo certamente non sospettava
l’importanza della sua scoperta, che è venuta a corroborare nell’ottobre 1986
una trasmissione televisiva britannica: Secret
Hunters. (Vedi Mike Mason, “In a cell with a Nazi war criminal – We kept
him awake until he confessed” [In cella con un criminale di guerra nazista –
Noi l’abbiamo tenuto sveglio finché ha confessato], articolo nel giornale
gallese Wrexham Leader, 17 ottobre
1986. [12])
***
Questa immagine (cliccare sopra per ingrandirla) apparve alla pagina 161 del libro di Lord Russell di Liverpool Geissel der Menschheit (Berlino, Verlag Volk und Welt, 1960), il cui titolo originale era The Scourge of the Swastika. La legenda dice: "La confessione di Rudolf Höss". Non si tratta di una riproduzione di NO-1210 o di PS-3868 ma solamente di un breve testo del 16 marzo 1946. Si noterà la differenza tra la scrittura del testo della confessione e la scrittura personale di Höss. Nella sua introduzione all'edizione inglese di Kommandant in Auschwitz, Lord Russell volle informare sulle condizioni in cui Höss dovette firmare questa nota ma, visto che commise degli errori nella cronologia dei relativi avvenimenti, le sue informazioni sono da accettare con riserva. (Vedi Commandant of Auschwitz, p. 18).
7 maggio 1987
Note
[1] Vedi Henri Monneray, La Persécution
des Juifs dans les pays de l’Est presentée à Nuremberg, Parigi, Editions du
Centre de documentation juive, 1949, p. 159-162.
[2] IMG, XI,
p. 457-461.
[3] Hans
Fritzsche, incaricato della radio e della stampa al ministero dell’Educazione e
della Propaganda dal 1938, assolto a Norimberga.
[4] Rudolf
Höss, Comandante ad Auschwitz (qui,
dall’edizione francese: Le Commandant
d’Auschwitz parle, Parigi, Julliard [1959], 1970, p. 248-250).
[5] R. Butler, Legions of Death, p. 235.
[6] Id., p. 238.
[7] Id., p. 238.
[8] Id., p.
238-239.
[9] L. Poliakov, Bréviaire de la haine : Le IIIe
Reich et les juifs, Parigi, Calmann-Levy, 1951, p. 171.
[10] R. Butler, op. cit., p. 235.
[11] “Certamente,
ho firmato che avevo ucciso due milioni e mezzo di ebrei. Ma avrei potuto
firmare anche benissimo che erano stati cinque milioni. Vi sono appunto dei
metodi per ottenere qualsiasi confessione – vera o meno che sia.”
[12] Ecco un estratto dell’articolo in cui Ken Jones, soldato del Quinto
Artiglieria Reale a Cavallo stanziato a Heide nello Schleswig-Holstein
all’epoca, parlò di Höss [Nota del traduttore]:
“Lo
portarono da noi quando rifiutava di rispondere alle domande sulla sua attività
durante la guerra. Arrivò nell'inverno 1945-1946 e fu messo in una piccola
cella nelle baracche”, si ricorda Sr Jones. Altri due soldati furono assegnati
con Sr Jones per unirsi a Höss in modo di aiutare a stremarlo per
l’interrogatorio. “Sedevamo in cella con lui, notte e giorno, armati con dei
manici d’asce. Il nostro compito era quello di pungolarlo ogni volta che si
addormentava per esaurirlo, fiaccare la sua resistenza”. Quando lo facevano
uscire per esercizi, gli fu consentito di indossare, nel gran freddo, solo dei
jeans ed una sottile camicia di cotone. Dopo tre giorni e tre notti senza
sonno, Höss finalmente crollò e rese una piena confessione alle autorità.