John Locke (1632-1704) è l’autore di
una Lettera sulla
tolleranza pubblicata per la prima volta nel 1689 in Olanda, dove
si era auto esiliato dall’Inghilterra per via delle sue idee religiose. Il
testo originale in latino di Epistola
de Tolerantia fu ristampato in una edizione di Londra del 1765 (A.
Millar), seguito nello stesso volume dalla traduzione in inglese: A Letter Concerning Toleration; venivano poi ad aggiungersi tre “Letters” interamente
redatte in inglese. Questo libro è consultabile presso: http://books.google.it/books?id=ig1cAAAAQAAJ&printsec=frontcover&h1=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false.
Un estratto della pagina 23 riassume il
pensiero del filosofo sull’ateismo:
Ultimo, qui Numen esse negant nullo modo tolerandi sunt. Athei enim nec
fides, nec factum, nec jusjurandum aliquod stabile et sanctum esse protest,
quae sunt societatis humanae vincula; adeo ut Deo vel ipsu opinione sublato
haec omnia corruant. Praeterea, nullum sibi religionis nomine vendicare potest
tolerantiae privilegium, qui omnem funditus tollit per atheismum religionem.
Infine, non devono essere in alcun modo tollerati coloro che negano
l’esistenza di Dio. Promesse, impegni e giuramenti, che sono tutto ciò che lega
assieme la società umana, non possono essere stabili e sacri per un ateo; tutto
ciò è dissolto infatti dal negare Dio, sia pure solo nel pensiero. Inoltre, poi,
coloro che con la loro professione di ateismo distruggono ogni forma di fede
non possono avere alcun pretesto di religione per reclamare il privilegio della
tolleranza.*
Commento
Ancora ai giorni nostri, troppo spesso
un aspetto comune degli intellettuali che pretendono di difendere la tolleranza
è quello di raccomandare, come contropartita, l’intolleranza in casi
eccezionali. A volte, certi membri dell’intellighenzia, atei compresi, hanno
addirittura difeso caparbiamente la libertà di pensiero e di espressione con
riserva di un giusto uso della ghigliottina o del plotone di esecuzione contro
coloro che, sembra, abusavano del bene così prezioso e sacro della libertà. Lo
vediamo qui in queste poche righe di John Locke: bisognava far prova di
tolleranza nei confronti di tutte le religioni e dei loro sostenitori ma non
nei confronti degli atei, cioè di coloro che, negando la divinità, rischiavano
di provocare il “crollo” (sic) delle nostre società.
Fondatore della scuola sensista ed
empirista, padre della teoria dei “diritti naturali” dell’uomo, J. Locke è
conosciuto soprattutto per il suo Saggio
sull’intelletto umano (1690) nel quale si oppone alla dottrina
cartesiana delle idee innate, e per il suo Trattato sul governo (stesso anno) nel quale combatte le teorie
dispotiche di Thomas Hobbes.
Locke era un uomo onesto, un filosofo,
un cittadino ostile al despotismo, un buon cristiano che, ai suoi tempi, non
avrebbe fatto granché per salvare la vita di un ateo. Oggi, in Occidente, non
ci si preoccupa più di proscrivere gli atei, ma è un’altra razza che si vuole
mettere alla gogna: quella dei miscredenti nella religione di “l’Olocausto” o
di “la Shoah”. In questo caso nessuna grazia, nessuna pietà. Qui, in nome di
una giusta tolleranza, le nostre belle coscienze, i nostri animi raffinati esigono
sempre più castighi contro coloro che, per Le Monde, giornale obliquo, non sono altro che “i testardi
della menzogna, i gangster della storia” (5-6 luglio 1987, pag. 31).
* Traduzione di Lia Formigari in
John Locke, Lettera sulla tolleranza,
Firenze, La Nuova Italia, 1975, p. 68.
Traduzione a cura di Gian Franco Spotti