Fino al 1960 ho creduto alla
realtà di questi giganteschi massacri nelle “camere a gas”. Poi, leggendo Paul
Rassinier, ex deportato in quanto
membro della Resistenza ed autore della Menzogna d’Ulisse, ho cominciato ad avere dei dubbi. Dopo
quattordici anni di riflessione personale, e poi quattro anni di un’ostinata
indagine, ho acquisito la certezza, al pari di altri venti autori revisionisti,
di trovarmi dinanzi ad una menzogna storica. Ho visitato e rivisitato Auschwitz
e Birkenau dove ci viene presentata una “camera a gas ricostruita [1]” e delle rovine chiamate
“crematori con camere a gas”. Allo Struthof (Alsazia) ed a Majdanek (Polonia),
ho esaminato dei locali presentati come delle “camere a gas allo stato
originario”. Ho analizzato migliaia di documenti, in particolare nel centro di documentazione
ebraica contemporanea di Parigi: archivi, stenogrammi, fotografie,
testimonianze scritte. Ho perseguito instancabilmente le mie ricerche specialiste e storiche. Ho cercato, ma
invano, un solo deportato in grado di darmi la prova di avere realmente visto,
con i propri occhi, una “camera a gas”. Soprattutto non volevo un’abbondanza
illusoria di prove; ero pronto ad accontentarmi di una prova, una sola prova.
Questa prova, io non l’ho mai trovata. Invece
,ciò che ho trovato sono molte false prove,
degne dei processi di stregoneria e disonoranti per i magistrati che se n’erano
accontentati. E poi ho trovato il silenzio, l’imbarazzo, l’ostilità e , per
finire, le calunnie, gli insulti, le percosse .
Le repliche che ha
appena suscitato il mio breve articolo su “La diceria d'Auschwitz”, le ho lette
più d’una volta in diciotto anni di ricerche. Non discuto la sincerità degli
autori, ma dico che queste repliche brulicano di errori, segnalati da lungo
tempo da persone come Rassinier, Scheidl e Butz.
Ad esempio nella
lettera, che mi si cita, del 29 gennaio 1943 (lettera che non reca nemmeno
l’abituale timbro di “Segreto”), Vergasung non significa “gasazione”, ma
“carburazione”. Vergansungskeller designa il locale, nel sottosuolo,
dove avviene la miscela “gassosa” che alimenta il forno crematorio. Questi
forni, con il loro dispositivo di aerazione e di ventilazione, provenivano
dalla ditta Topf & Söhne di Erfurt (NO-4473).
Begasung
designava
la gasazione degli indumenti nelle autoclavi. Se il gas impiegato era lo Zyklon
B – preparazione di “B[lausaure]”, vale a dire d’acido prussico o cianidrico –
si parlava di “camere a gas azzurre ”. Niente a che vedere con le pretese “camere a gas-mattatoi”!
Si deve citare
correttamente il Diario del medico Johann Paul Kremer. Si vedrà così che, se
questi parla degli orrori d’Auschwitz, lo fa per allusione agli orrori
dell’epidemia di tifo del settembre-ottobre 1942. Il 3 ottobre scriverà: “Ad
Auschwitz, strade intere sono annientate dal tifo”. Lui stesso contrarrà ciò che egli chiama “la malattia
d’Auschwitz”. Ne moriranno dei Tedeschi. Quanto alla separazione dei malati e
delle persone sane, questa era la “selezione” o una delle forme dell’“azione
speciale” del medico. Questa separazione si faceva sia all’interno dei
fabbricati, sia all’esterno. Mai Kremer ha scritto che Auschwitz era un Vernichtungslager, vale a dire, secondo una terminologia
inventata dagli Alleati dopo la guerra, un “campo di sterminio” (con questa
espressione intendete: un campo dotato di una “camera a gas”). In realtà, ha
scritto: “Non per niente Auschwitz è chiamato il campo dell’annientamento (das
Lager der Vernichtung).” Secondo il significato etimologico della parola,
il tifo annienta coloro che esso colpisce. Altro grave errore di citazione:
alla data del 2 settembre 1942 il manoscritto di Kremer riporta: “Questo
mattino, alle tre, ho assistito fuori, per la prima volta, ad un’azione
speciale.” Storici e magistrati sopprimono tradizionalmente la parola “fuori” (draussen)
per far dire a Kremer che questa azione si svolgeva in una “camera a gas”.
Infine, le scene atroci davanti all’“ultimo bunker” (si tratta del cortile del
bunker n° 11) sono delle esecuzioni di condannati a morte, esecuzioni alle
quali il medico era obbligato ad assistere. Tra i condannati si trovano tre
donne arrivate in un convoglio dall’Olanda: esse sono fucilate [2].
I fabbricati dei “Krema” di Birkenau erano perfettamente
visibili [3] da tutti. Lo provano molte
planimetrie e foto, che ugualmente provano l’impossibilità materiale radicale
per questi “Krema” di aver avuto le “camere a gas”.
Se, a proposito
d’Auschwitz, mi si citano, ancora una volta, le confessioni, le memorie o i
manoscritti – miracolosamente – ritrovati (tutti documenti che già conosco),
voglio che mi si mostri in che cosa le loro precisazioni imprecise differiscono
dalle precisazioni imprecise di tutti i documenti che hanno fatto dire ai
tribunali militari degli Alleati che esistevano delle “camere a gas laddove, in
fin dei conti, si è finito per riconoscere che non ce n’erano state: ad esempio
in tutto il vecchio Reich!
Avevo citato i
documenti industriali NI-9098 e 9912. Bisogna leggerli prima di oppormi le
“testimonianze” di Pery Broad e di R. Höss o – perchè no? – le “confessioni”,
dopo la guerra, di J. P. Kremer. Questi documenti stabiliscono che lo Zyklon B
non faceva parte dei gas qualificati come soggetti a ventilazione; i suoi
fabbricanti sono obbligati a convenire che esso è “difficile da ventilare,
visto che aderisce alle superfici”. In un locale saturo di cianuro per lo Zyklon B non si
può entrare con una maschera al filtro “J” – il più potente dei filtri – che al termine d’una
ventina di ore per procedere ad un test chimico di sparizione del gas [4]. Materassi
e coperte devono essere battuti all’aria aperta per una o due ore. Orbene, Höss scrive [5]: “Una mezz’ora dopo aver lanciato il gas, si apriva la porta e si
metteva in azione l’apparecchio di ventilazione. Si cominciava immediatamente
ad estrarre i cadaveri”. Immediatamente (sofort)! Ed egli aggiunge che la squadra incaricata di maneggiare
duemila cadaveri impregnati di cianuro entrava in questo locale (ancora pieno
di gas, non è vero?) e ne tirava fuori i corpi “mangiando e fumando”, cioè, se
ho ben compreso, senza nemmeno una maschera antigas. È impossibile. Tutte le
testimonianze, per quanto vaghe o discordanti siano sul resto [6], sono
concordi almeno su questo punto: la squadra apriva il locale, sia
immediatamente, sia “poco dopo” la morte delle vittime. Io dico che questo
punto, da solo, costituisce la pietra d’inciampo della falsa testimonianza.
È interessante
visitare in Alsazia la “camera a gas” dello Struthof. Sul posto si legge la
confessione di Josef Kramer. È attraverso un “foro” (sic) che Kramer versava
“una certa quantità di sali cianidrici”, poi, “una certa quantità di acqua”: il
tutto sprigionava un gas che uccideva quasi nel giro di un minuto. Il “foro”
che si vede oggi è stato fatto così grossolanamente con un colpo di scalpello
che quattro mattonelle di maiolica ne sono state spezzate. Kramer si serviva di
un “imbuto a rubinetto”. Io non vedo né come egli poteva impedire a questo gas
di rifluire attraverso questo foro grossolano, né come poteva accettare che il
gas, disperdendosi attraverso il comignolo, si diffondesse sotto le finestre
della sua villa. Passiamo in una stanza vicina e, lì, che mi si spieghi questa
faccenda di cadaveri conservati per il professor Hirt in “vasche al formolo”,
che altro non sono, in effetti, che vasche per la conservazione di crauti e patate
munite di semplici piani ribaltabili di legno non trattato per l'
impermeabilizzazione.
La più banale delle
armi, se sospettata di aver ucciso o ferito, è oggetto di una perizia
giudiziaria. Si constata con sorpresa che queste prodigiose armi del crimine
che sono le “camere a gas” non sono mai state oggetto di una perizia ufficiale
(giudiziaria, scientifica o archeologica) di cui si possa esaminare la
relazione [7].
Se per disgrazia i
Tedeschi avessero vinto la guerra, suppongo che i loro campi di concentramento
ci sarebbero stati presentati come dei campi di rieducazione. Contestando io
questa presentazione dei fatti, sarei stato senza dubbio accusato di fare
obiettivamente il gioco del “giudeo-marxismo”. Né oggettivamente né
soggettivamente io sono un giudeo-marxista o un neo-nazi. Provo
dell’ammirazione per i Francesi che hanno lottato coraggiosamente contro il
nazismo. Essi difendevano la buona causa. Oggi, se affermo che le “camere a
gas” non sono esistite, lo faccio perché il difficile dovere di essere sincero
mi obbliga a dirlo.
16 gennaio 1979
Traduzione a cura di Germana Ruggeri
Note:
[1] Presentate ai turisti come se fossero originali.
[2] Auschwitz vu par les SS, ed. del museo
d’Oswiecim, p. 238, n. 85.
[3] Un campo di
calcio “si trovava di fronte i crematori di Birkenau” (Tadeus Borowski, H.
Langbein, Hommes et femmes à Auschwitz, 1975, p. 129).
[4] Il regolamento
francese che riguarda l’impiego dell'acido cianidrico è draconiano come quello
tedesco: vedere decreto 50-1290 del 18 ottobre 1950, ministero della sanità
pubblica.
[5] Kommandant in
Auschwitz, Deutsche Verlagsanstalt, Stuttgart, 1958, p. 126 e 166.
[6] Justiz und
NS-Verbrechen, University Press Amsterdam, t. XIII (1975), p. 134 e 135.
[7] La credulità si
accontenta di poco: è sufficiente che ci si mostri una porta munita di spioncino
e di chiavistello a catenella (sistema a spagnoletta) ed eccoci davanti ad ...
una “camera a gas”!
[Conformemente
alla legge del 29 luglio 1881, noi (Le Monde) pubblichiamo il testo del
Sig.r Faurisson. Ogni replica che lo chiamasse in causa aprirebbe a suo favore
un nuovo diritto di risposta. Pertanto non riteniamo come chiuso il dossier
aperto dalle dichiarazioni di Darquier de Pellepoix.]